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ALLA SCOPERTA DI ME STESSA: L'INDONESIA

Aggiornamento: 15 feb 2021

(CIO' CHE HO COMPRESO DEL MONDO SPIRITUALE, ACQUATICO E GENEROSO DELL'INDONESIA)

"NOVEMBRE 2016"


Trascorse soltanto un anno alla mantenuta promessa, quella di volare ancora verso l'Asia, precisamente varcando le porte di un'altra meravigliosa nazione, l'Indonesia. Ero fiduciosa e piena d'interesse nello scoprire un nuovo volto del sud-est asiatico. Questa volta ero più preparata ad approcciarmi all'Oriente e alle sue particolarità.


Bali mi accolse a braccia aperte, un tassista alla mano e socievole mi accompagnò all'alloggio che si trovava nel bel mezzo della vita notturna dell'isola. Motorini impazziti schizzavano via tra i vicoli affollati mentre neon appariscenti illuminavano tutto il quartiere di Kuta.

Diedi subito un'occhiata fuori passeggiando alla ricerca di un ristorante carino per cenare. Circondata da europei e australiani feci molta fatica a dare un giudizio sull'autenticità del posto. Dovevo assolutamente allontanarmi dalla modernità per poter cogliere la vera entità e spiritualità del luogo. Ci riuscii il giorno successivo al tempio induista di Tanah Lot quando, grazie all'aiuto di antiche leggende, la mia mente ideò uno scenario atipico ove le onde assordanti dell'oceano, scagliandosi contro le mura sacre, davano vita a un abbraccio platonico creato volutamente dagli spiriti protettivi delle acque. La celebrazione spirituale si concluse con un tramonto superlativo, caratterizzato da un cielo dipinto da sfumature color magenta.

Commossa, mi allontanai da quell'ambiente ultraterreno, frastornata da ciò che avevo appena assistito. Non sapevo se definirlo un “miracolo” o semplicemente un regalo di “benvenuto”, ma non ci pensai a lungo poiché presto avrei voltato pagina.


A poche ore di distanza un piccolo traghetto mi portò alle “Gili Islands” alla scoperta della barriera corallina. Scartai l'isola più grande aggredita dal turismo di massa e mi dedicai alle due più piccole. Scesi prima a Gili Air e, a piedi su strada sterrata, raggiunsi il mio dormitorio. A ricevermi fu proprio il padrone di casa che mi diede utili informazioni sull'isola e mi mostrò immediatamente l'alloggio. Il tutto fu accompagnato da uno squisito frullato di frutta esotica che mi fu generosamente offerto. Spensierata, il mattino dopo mi avviai verso la spiaggia consigliata e trovai il litorale popolato soltanto da qualche chiosco e una decina di pescatori. Munita di pinne e maschera andai in perlustrazione. Attorniata da qualche corallo e pesce curioso, lo snorkeling fu abbastanza regolare sino all'incontro più eccitante del viaggio: un bellissimo esemplare di tartaruga marina che, graziosamente, mangiava tra i miei piedi le alghe circostanti. Decisi di seguirla per osservare il suo comportamento. Ed ecco che la vidi salire in superficie nuotando leggiadra nelle acque trasparenti. Inspiegabilmente il cuore cominciò a battermi più forte, mi ero forse innamorata? Evidentemente sì. Da quel giorno diventò la mia ossessione nonché il mio appuntamento fisso.

Quando mi spostai sull'isola di Gili Meno le abitudini non cambiarono. Lo snorkeling, divenuto il mio hobby preferito, mi regalò un'altra straordinaria visione: un branco di piccoli squali che nuotavano vicini alla riva con indifferenza. Rimasi stupefatta della loro singolare presenza e senza batter ciglio mi allontanai. Bracciata dopo bracciata, arrivai nell'acqua alta ove il blu scuro dell'oceano per un attimo mi fece rabbrividire. Fortunatamente i colori caldi dei coralli sottostanti aiutarono a distogliere lo sguardo dagli abissi e a riportarmi sulla via del ritorno.

Quando il sole calava, priva di ogni tipo di energia, mi dondolavo su confortevoli altalene in riva al mare sorseggiando un delizioso frullato di anguria che, nel mio caso, creò una forte dipendenza.

Purtroppo il sogno di vivere “sull'isola che non c'è” s'infranse nel giro di sole ventiquattro ore.


Con nostalgia dovetti abbandonare le pianeggianti Gili per approdare su un'isola più collinare, la poco conosciuta Nusa Lembongan. La sua costa offriva scogliere imponenti alternate a piccole insenature sabbiose poco frequentate di una bellezza unica.

L'accoglienza fu eccellente e il mangiare divino. Nel nuovo alloggio si cenava con il tonno appena pescato e un purè da far invidia a quello italiano.

I gentili proprietari mi informarono subito delle escursioni giornaliere in barca e dei luoghi più interessanti da visitare. Non persi un solo istante e mi prenotai per una fantastica uscita in mare. Mi capitò un barcaiolo di poche parole che, guidando con molta prudenza, costeggiò la riva per poi fermarsi in un punto ben preciso. Gesticolando, mi fece capire che era arrivato il momento di tuffarsi. Non dubitai e mi buttai in acqua. L'occhio cadde inesorabilmente su una distesa di coralli somiglianti ad un intrico di molteplici corna di cervo che si espandevano per tutto il campo visivo. La luce riflessa dava colori sgargianti ad ognuno di essi facendo risaltare, tra le tante tinte, il viola.

Mi lasciai andare con piccole urla di euforia e continuai a nuotare godendomi lo scenario marino. Risalire in barca significava abbandonare la mia felicità ma, d'altro canto, ero a conoscenza del fatto che poco distante avrei rivalutato il mio stato emotivo. Il capitano spense nuovamente il motore vicino alla riva di una tranquilla baia. Una donna dall'aspetto radioso mi fece salire a bordo della sua canoa per affrontare il viaggio nella foresta di mangrovie, un ecosistema a me totalmente estraneo.

All'ingresso percepii subito l'assoluto silenzio interrotto soltanto da un leggero suono nato dal canto dei grilli. Lungo le sponde granchi blu passeggiavano sul terreno fangoso mentre sul corso d'acqua il fitto fogliame si rifletteva tra luci e ombre.

Uscita dal tunnel ricco di vegetazione, mi apprestai a raggiungere nuovamente la mia imbarcazione, già pronta a partire. Durante la navigazione l'ondeggiamento mi cullava e mi costrinse a tornare un po' bambina, nell'età in cui il dondolo mi assopiva. In quel momento, seppur distratta dai ricordi, dovevo concentrarmi sulla prossima sosta. L'adrenalina saliva e con lei anche la voglia di tuffarmi. Eccomi, finalmente in acqua, tra le correnti forti dell'oceano che ti trascinavano senza che te ne accorgessi. Appena abbassato lo sguardo entrai in uno stato di beatitudine, come sedata da ciò che mi apparve: un giardino acquatico sognante. Non stavo nuotando, ma stavo sorvolando un'isola floreale composta da figure piatte e arricciate, oscillanti e statiche, tinteggiate e scolorite.

Avvicinandomi a questo mondo fantasy, cercai di trovare una connessione con la terra. Ci riuscii non appena capii che l'incantevole barriera corallina equivaleva ad un nostro prezioso orto ove migliaia di pesci dipendevano dalla sua conservazione. Tutto ad un tratto, un brivido attraversò il mio corpo, forse era arrivato il momento di uscire dall'acqua o forse era stato un segno della mia incommensurabile consapevolezza alla preoccupante scoperta di quanto sia delicato l'ecosistema marino.

Lasciai le mie riflessioni ben custodite nella “Crystal Bay” per dirigermi verso altre creature degne di avere tutta la mia attenzione: le maestose mante. Nell'intervallo tra una tappa e l'altra le onde si fecero più violente e la costa sempre più scoscesa. Sentivo che mancava poco all'incontro. Mi preparai psicologicamente viste le condizioni del mare agitato. La barca si fermò, vidi qualcosa muoversi di una certa grandezza muoversi appena sotto la superficie dell'acqua. Intimorita, mi gettai nel mare torbido. Avvenne così il confronto. Tre mante giganti mi si presentarono in tutta la loro grandiosità, la bocca ampia ti lasciava perplesso e la loro forma romboidale ti faceva sorridere poiché le rendeva buffe.

Era confortante vederle nuotare nel loro sconfinato habitat senza alcuna paura. Inoltre la loro compagnia mi aveva rasserenata, mi sentivo più al sicuro malgrado l'oceano rabbioso. Scontato dire che i minuti con queste affascinanti creature non bastarono, ma purtroppo era giunta l'ora di abbandonare il meraviglioso viaggio nel mondo acquatico.

Dovevo marcare ancora il territorio dell'isola quindi, senza esitare, mi misi ad esplorare alcunelocalità. Una in particolare aveva l'aria di essere intrigante. Si trattava delle Devil's tears (lacrime del diavolo), scogliere suggestive che, a quanto pare, nascondevano bene la loro vera identità. Le onde si infrangevano incessantemente e creavano spruzzi altissimi. Vistose piscine naturali si formavano su tutto il tratto costiero.

Al tramonto mi misi in prima fila ad assistere allo spettacolo. Divertita, esultavo ad ogni onda,

quando all'improvviso, il getto oceanico dall'essere un divertente passatempo divenne un elemento insidioso.

Mi ritrovai scaraventata sulla roccia appuntita, non ero più in prima fila bensì alla quinta o sesta. L'oceano mi aveva versato addosso le sue “lacrime del diavolo”.

Rimasi scossa poiché in quel momento capii di aver contrastato la sottovalutata “Madre Natura”. Mi alzai e ancora sconvolta andai a riposare con le ginocchia sbucciate e il tremore su tutto il corpo.


Il viaggio, nonostante l'ultima disavventura, continuò normalmente.

Mancava da visitare una buona parte dell'isola spirituale di Bali.

Avevo a disposizione tre giorni a spasso nell'entroterra. Avviai la mia spedizione inoltrandomi, innanzitutto, nella “foresta delle scimmie”. Un acquazzone inarrestabile mi accompagnò per tutta la durata dell'escursione tuttavia la pioggia passò subito in secondo piano appena le scimmie, apparentemente graziose, si rivelarono fastidiose e moleste costringendomi a nascondere qualsiasi oggetto vistoso e alla loro portata.

La posizione del parco era però molto insolita poiché si trovava dentro la cittadina di Ubud, il cuore pulsante di Bali. Qui, le care scimmiette le potevi osservare mentre gironzolavano indisturbate per le strade rovistando tra i rifiuti e sui tetti delle abitazioni saltellando tra l'uno e l'altro. Constatai quindi quanto fossero profondamente rispettate dal popolo indonesiano che, con indifferenza, convivevano con la loro invadenza.

Procedendo all'avanscoperta della regione interna m'infiltrai ancora più a fondo nella giungla per poter gustare incantevoli cascate immerse nel verde più intenso che ci sia.

Mi aiutarono a rinfrescare la mente, ormai offuscata dalla terribile calura, dandomi una sensazione di benessere.

In seguito, luoghi di preghiera mi purificarono. Mi ero ipnotizzata ad assistere al rito spirituale induista avvenuto nelle sorgenti sacre del tempio di Tirta Empul.

Oltretutto, rimasi stupefatta dalla creatività delle offerte rituali, composte da foglie di banano, decorate con fiori e doni di qualunque tipo e profumate d'incenso.

Poco più lontano visitai un altro noto tempio, quello di Gunung Kawi, che mostrava i suoi monumenti funebri armonizzati dalla fitta giungla circostante.

Tutto ciò innescò un alleggerimento di spirito che mi portò, ancor meglio, a perlustrare le altre meraviglie di Bali.

Eccomi in cima alle risaie, dinanzi avevo un panorama mozzafiato fatto di rapidi terrazzamenti arrampicanti sui versanti delle due colline.

Scesi a passeggiare tra le intersecazioni delle molteplici vie delle terrazze, volevo soltanto comprenderne l'opera d'arte creata dalla natura e dall'uomo. Gli occhi erano attratti più che altro dalla luminosità del verde ma nell'intimo sapevo che l'acqua era la chiave per accedere alla vera bellezza: la purezza. Ubriaca ancora dal verde, andai a confondermi tra le altre risaie poco menzionate. Rimasi impietrita da figure conosciute come spaventapasseri. Percepii una sensazione di terrore, forse proveniente dalle banali storielle dell'orrore ascoltate nell'infanzia.

Tuttavia, la vista intorno mi fece dimenticare gli agghiaccianti spaventapasseri, anzi, mi diede l'occasione di constatare quanto fosse dura la vita nei campi.

Un ultimo sguardo all'isola tropicale di Bali lo diedi andando a far visita al tempio di “Ulun Danu Bratan”, situato su un lago che sembrava galleggiare su delle acque benedette, costituite da splendide composizioni di fiori di loto. Il tutto era racchiuso in un'atmosfera mistica ove la religione indù regnava sovrana.

Al ritorno verso Ubud mi trattenni nelle piantagioni di tè e cacao apprendendone la lavorazione e degustandone un po' di entrambi.

Il viaggio terminò quando feci ritorno a Kuta, nel quartiere dove tutto ebbe tutto inizio, l'inizio della fine nel calcolare il tempo e gli impegni presi di una vita costruita in un mondo di finzione.

L'Indonesia aveva trovato uno spazio per la mia esistenza, aveva ritrovato me stessa!


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