(ESPERIENZA VISSUTA A PIENO TRA LE TERRE SELVAGGE DELL'ISOLA, A VOLTE INOSPITALI)
"OTTOBRE 2019"
Giunta in aeroporto, sentii già una certa influenza artica, era il vento che, soffiando prepotentemente, dava una sensazione d'instabilità e portava con sé novità. Difatti, da lì a poco, mi accorsi di come esso potesse cambiare violentemente le linee del paesaggio rendendolo molto più interessante. C'era però un altro elemento fondamentale: la pioggia che, cadendo abbastanza decisa, non ti permetteva di alzare lo sguardo. A quel punto, pensai che il viaggio fosse già stato compromesso a causa del clima islandese così furioso e poco affidabile.
Sebbene mi fossi già arresa, l'indomani mattina mi fiondai a guardar fuori e vidi che la tempesta cessò.
Iniziò così il lungo viaggio per questa isola sperduta nell'Atlantico partendo da sud.
Ogni scusa era buona per catapultarsi fuori dall'auto a osservare i continui contrasti che la natura offriva passando tra monti, canyon, geyser.
Le prime tappe furono dedicate a molteplici cascate di vario genere, da quelle più intense in termini di portata a quelle più idilliache di lunga discesa. Una in particolare, dal nome "Seljalandsfoss", mi colpì per la sua inconfondibile caratteristica, quella di poterla ammirare da diverse angolazioni. Passai mezza giornata a godermi lo spettacolo, sostando esattamente alle sue spalle, facendomi cullare dal suono leggero del getto d'acqua.
Dopo fate e gnomi, l'inaspettata Islanda giunse al culmine della sua bellezza. Avete mai sentito parlare di una certa "Diamond Beach" ("spiaggia di diamanti")? Essa è soprannominata così perché "Madre Natura" ha ben pensato di farci approdare dei blocchi di ghiaccio. Quando vidi la strana unione tra ghiaccio e sabbia rimasi sorpresa. Esaltatissima, iniziai a correre qua e là sul bagnasciuga, come una bambina, facendomi travolgere dalle onde che si ritiravano assieme ai loro diamanti.
Scenario insolito anche verso il grande ghiacciaio "Vatnajokull" ove la sua laguna mostrava generosamente i preziosi iceberg.
Poche ore dopo, una magnifica avventura stava per essere intrapresa. Andai in compagnia di una guida alla scoperta del ghiacciaio e delle sue caverne. Munita di elmetto e ramponi, entrai in una delle principali grotte; a primo impatto sembrava di introdursi in una bolla di sapone di color blu e verde acqua, poi, tornando alla realtà e toccando con mano la parete ghiacciata, tutto mi parve più ovvio, ero entrata nel cuore del ghiacciaio.
Purtroppo l'avventura artica durò poco e, in un batter d'occhio, mi ritrovai daccapo sulla terra ferma. Dopo tale esperienza ero pronta a qualsiasi stranezza consapevole del fatto che, poco distante, il paesaggio stava per cambiare nuovamente aspetto. Dal regno di ghiaccio si passò alla montagna più famosa e fotografata d'Islanda: l'affascinante "Vestrahorn". Essa è maestosa e ciò che la circonda la rende speciale. Dune di sabbia nera lavica, cespugli di erbette dorate e riflessi dati dal mare creano il luogo perfetto per i fotografi. Non peraltro fu lei la protagonista del tramonto per eccellenza.
Una settimana di viaggio era trascorsa percorrendo parte meridionale dell'isola. Lì ad attendermi il "nord". Era arrivato il momento di rimboccarsi le maniche poiché era risaputo che i territori del nord vantavano di poca conoscenza e di conseguenza di poco turismo. Ansiosa e piena di adrenalina, non vidi l'ora di respirare aria rivoluzionaria. In un certo senso l'Islanda mi ascoltò. Si passò in poche ore dall'autunno all'inverno. Il termometro scese rapidamente a -12°C e mi ritrovai a indossare doppi strati di qualunque indumento. Il vento gelido proveniente dall'artico mi costrinse quasi a camminare a quattro zampe. Fu terrificante ma la natura sa sempre come ripagarti e, in quel caso, mi diede una grande opportunità: la fortuna di poter ammirare "Myvatn", un lago vulcanico circondato da straordinari crateri, a quel tempo, ricoperto di neve con qualche breve accenno all'autunno. La mia visione di quel lago prese forma attraverso un'indimenticabile fotografia.
Successivamente, la buona sorte colpì ancora, era la volta di una cascata di nome "Goðafoss", per me, la più fiabesca d'Islanda poiché godeva di una smisurata quantità di ghiaccio e neve.
Dopo questo piccolo assaggio invernale il sole tornò con prepotenza e fece sparire ogni eventualità di ritrovarsi sotto nubi minacciose. Mi ero catapultata in un altro mondo, la "penisola dell'ovest". Notai subito molti particolari, come ampie distese di pietra lavica ricoperte da una certa abbondanza di muschio, cascate di ghiaccio visibili a ogni parete rocciosa, scogli tetri di qualunque forma e dimensione.
Ormai innamorata di questa terra pensai di aver esaudito tutti i desideri eccetto uno: poter ammirare l'aurora boreale. Al volo di ritorno mancavano appena due notti, pertanto la probabilità di vederla era quasi nulla. Tuttavia, quel pomeriggio il cielo sereno mi diede una speranza. All'ora del tramonto cercai di non pensarci e feci le mie foto in silenzio godendomi il paesaggio costiero, quando all'improvviso fu un bagliore ad attirare la mia attenzione. Volevo cambiare zona e, così, seguendo la strada che portava all'alloggio, mi venne in mente un posto, un piccolo golfo ove dei fiordi si specchiavano alla perfezione. Velocemente quel bagliore prese forma e diventò sempre più evidente. Non c'erano più dubbi, era lei, la tanto attesa "aurora". Arrivata a destinazione, il cervello andò in stand-by, era difficile seguire la traiettoria dell'instancabile aurora ballerina. Stavo assistendo a una danza celestiale travolgente di un verde evidenziatore potentissimo.
Andai a dormire con la "northern lights" sopra la testa e con tanta euforia in corpo. Ma al risveglio l'umore fu pessimo poiché il sogno islandese stava per concludersi. Era rimasta una sola alba da immortalare prima del rientro in Italia. Non avendo molte pretese, né sul luogo, né sul meteo, a caso, andai in esplorazione. Dalla strada si potevano scorgere monti e vulcani su un lago ghiacciato. A quel punto, decisi di fermarmi. L'alba fu eclatante, un cocktail perfetto di luci e colori, che quando raggiunse l'apice della potenza, l'agitazione prese il sopravvento quasi da farmi dimenticare la ragione per cui ero lì: cogliere l'attimo attraverso "la fotografia".
Purtroppo quello fu l'ultimo assaggio d'Islanda. L'aeroporto di Reykjavik era ormai alle porte. Salii a bordo dell'aereo con la consapevolezza che al rientro a casa avrei provato un'unica sensazione: "la malinconia".
PUNTI DI INTERESSE DEL RACCONTO:
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