(ESPERIENZE DI VITA E DI VIAGGIO VISSUTE E RACCONTATE IN QUESTA PARTE DI BLOG )
PRIMA VOLTA SULLE DOLOMITI
Ho conosciuto le Dolomiti per la prima volta nel 2008. Un ragazzo si era generosamente offerto come guida turistica e io ho accettato il suo invito.
Durante il viaggio in treno ansia e curiosità mi stavano assalendo: cosa avevamo in comune io e la montagna? E io e quel misterioso ragazzo?
Arrivata a destinazione, scesa con il mio piccolo bagaglio, lui era lì ad aspettarmi.
Non è stata una grande sorpresa scoprire che non era affatto una persona superficiale e di pochi argomenti. Avevo capito però che amava la semplicità e che questo gli faceva onore.
Ho passato due giorni di piacevoli avventure lontano dalla vita impostata e frenetica della città.
L'aria pulita, la tranquillità e l'accuratezza dei luoghi mi hanno portato a pensare che forse la pianura, lo smog e la noiosa routine non erano quello che volevo realmente.
Dopo due anni di soli e miseri weekend mi sono decisa e ho accettato di vivere tra le Dolomiti con amore e passione.
COME INNAMORARSI DELL'ISLANDA
Giunta in aeroporto, sentii già una certa influenza artica, era il vento che, soffiando prepotentemente, dava una sensazione d'instabilità e portava con sé novità. Difatti, da lì a poco, mi accorsi di come esso potesse cambiare violentemente le linee del paesaggio rendendolo molto più interessante. C'era però un altro elemento fondamentale: la pioggia che, cadendo abbastanza decisa, non ti permetteva di alzare lo sguardo. A quel punto, pensai che il viaggio fosse già stato compromesso a causa del clima islandese così furioso e poco affidabile.
Sebbene mi fossi già arresa, l'indomani mattina mi fiondai a guardar fuori e vidi che la tempesta cessò.
Iniziò così il lungo viaggio per questa isola sperduta nell'Atlantico partendo da sud.
Ogni scusa era buona per catapultarsi fuori dall'auto a osservare i continui contrasti che la natura offriva passando tra monti, canyon, geyser.
Le prime tappe furono dedicate a molteplici cascate di vario genere, da quelle più intense in termini di portata a quelle più idilliache di lunga discesa. Una in particolare, dal nome "Seljalandsfoss", mi colpì per la sua inconfondibile caratteristica, quella di poterla ammirare da diverse angolazioni. Passai mezza giornata a godermi lo spettacolo, sostando esattamente alle sue spalle, facendomi cullare dal suono leggero del getto d'acqua.
Dopo fate e gnomi, l'inaspettata Islanda giunse al culmine della sua bellezza. Avete mai sentito parlare di una certa "Diamond Beach" ("spiaggia di diamanti")? Essa è soprannominata così perché "Madre Natura" ha ben pensato di farci approdare dei blocchi di ghiaccio. Quando vidi la strana unione tra ghiaccio e sabbia rimasi sorpresa. Esaltatissima, iniziai a correre qua e là sul bagnasciuga, come una bambina, facendomi travolgere dalle onde che si ritiravano assieme ai loro diamanti.
Scenario insolito anche verso il grande ghiacciaio "Vatnajokull" ove la sua laguna mostrava generosamente i preziosi iceberg.
Poche ore dopo, una magnifica avventura stava per essere intrapresa. Andai in compagnia di una guida alla scoperta del ghiacciaio e delle sue caverne. Munita di elmetto e ramponi, entrai in una delle principali grotte; a primo impatto sembrava di introdursi in una bolla di sapone di color blu e verde acqua, poi, tornando alla realtà e toccando con mano la parete ghiacciata, tutto mi parve più ovvio, ero entrata nel cuore del ghiacciaio.
Purtroppo l'avventura artica durò poco e, in un batter d'occhio, mi ritrovai daccapo sulla terra ferma. Dopo tale esperienza ero pronta a qualsiasi stranezza consapevole del fatto che, poco distante, il paesaggio stava per cambiare nuovamente aspetto. Dal regno di ghiaccio si passò alla montagna più famosa e fotografata d'Islanda: l'affascinante "Vestrahorn". Essa è maestosa e ciò che la circonda la rende speciale. Dune di sabbia nera lavica, cespugli di erbette dorate e riflessi dati dal mare creano il luogo perfetto per i fotografi. Non peraltro fu lei la protagonista del tramonto per eccellenza.
Una settimana di viaggio era trascorsa percorrendo parte meridionale dell'isola. Lì ad attendermi il "nord". Era arrivato il momento di rimboccarsi le maniche poiché era risaputo che i territori del nord vantavano di poca conoscenza e di conseguenza di poco turismo. Ansiosa e piena di adrenalina, non vidi l'ora di respirare aria rivoluzionaria. In un certo senso l'Islanda mi ascoltò. Si passò in poche ore dall'autunno all'inverno. Il termometro scese rapidamente a -12°C e mi ritrovai a indossare doppi strati di qualunque indumento. Il vento gelido proveniente dall'artico mi costrinse quasi a camminare a quattro zampe. Fu terrificante ma la natura sa sempre come ripagarti e, in quel caso, mi diede una grande opportunità: la fortuna di poter ammirare "Myvatn", un lago vulcanico circondato da straordinari crateri, a quel tempo, ricoperto di neve con qualche breve accenno all'autunno. La mia visione di quel lago prese forma attraverso un'indimenticabile fotografia.
Successivamente, la buona sorte colpì ancora, era la volta di una cascata di nome "Goðafoss", per me, la più fiabesca d'Islanda poiché godeva di una smisurata quantità di ghiaccio e neve.
Dopo questo piccolo assaggio invernale il sole tornò con prepotenza e fece sparire ogni eventualità di ritrovarsi sotto nubi minacciose. Mi ero catapultata in un altro mondo, la "penisola dell'ovest". Notai subito molti particolari, come ampie distese di pietra lavica ricoperte da una certa abbondanza di muschio, cascate di ghiaccio visibili a ogni parete rocciosa, scogli tetri di qualunque forma e dimensione.
Ormai innamorata di questa terra pensai di aver esaudito tutti i desideri eccetto uno: poter ammirare l'aurora boreale. Al volo di ritorno mancavano appena due notti, pertanto la probabilità di vederla era quasi nulla. Tuttavia, quel pomeriggio il cielo sereno mi diede una speranza. All'ora del tramonto cercai di non pensarci e feci le mie foto in silenzio godendomi il paesaggio costiero, quando all'improvviso fu un bagliore ad attirare la mia attenzione. Volevo cambiare zona e, così, seguendo la strada che portava all'alloggio, mi venne in mente un posto, un piccolo golfo ove dei fiordi si specchiavano alla perfezione. Velocemente quel bagliore prese forma e diventò sempre più evidente. Non c'erano più dubbi, era lei, la tanto attesa "aurora". Arrivata a destinazione, il cervello andò in stand-by, era difficile seguire la traiettoria dell'instancabile aurora ballerina. Stavo assistendo a una danza celestiale travolgente di un verde evidenziatore potentissimo.
Andai a dormire con la "northern lights" sopra la testa e con tanta euforia in corpo. Ma al risveglio l'umore fu pessimo poiché il sogno islandese stava per concludersi. Era rimasta una sola alba da immortalare prima del rientro in Italia. Non avendo molte pretese, né sul luogo, né sul meteo, a caso, andai in esplorazione. Dalla strada si potevano scorgere monti e vulcani su un lago ghiacciato. A quel punto, decisi di fermarmi. L'alba fu eclatante, un cocktail perfetto di luci e colori, che quando raggiunse l'apice della potenza, l'agitazione prese il sopravvento quasi da farmi dimenticare la ragione per cui ero lì: cogliere l'attimo attraverso "la fotografia".
Purtroppo quello fu l'ultimo assaggio d'Islanda. L'aeroporto di Reykjavik era ormai alle porte. Salii a bordo dell'aereo con la consapevolezza che al rientro a casa avrei provato un'unica sensazione: "la malinconia".
LA THAILANDIA (NUOVA CULTURA, NUOVI RITMI, NUOVI SAPORI)
Abituata all'occidente con i suoi ritmi frenetici fatto di pressioni continue, ero al corrente che sarei presto atterrata in un’altra realtà. Ero pronta a vivere l'esperienza per la prima volta in Asia, nonostante nutrissi una certa diffidenza verso l'oriente, forse perché ne ero poco a conoscenza.
Quella mattina di novembre presi coraggio e salii a bordo dell'aereo che mi portò dritta in Thailandia. Varcata la soglia del mistero, l'inquietudine si trasformò in curiosità. Visi allegri e sorridenti ad accogliermi con tanta gentilezza mai notati prima mi portarono a pensare che forse era solo stata una questione di paure e sfiducia.
Capii di essere lontana da casa al primo respiro di aria soffocante causata dal caldo insopportabile e dallo smog di Bangkok. Bangkok, una città originale fatta di tante contraddizioni, un miscuglio di tradizione e innovazione, di gente povera e gente benestante, di luoghi di culto e luoghi di piacere. Ricordo i vari profumi che si sprigionavano per tutte le vie e la confusione dei Tuk Tuk (mezzi di trasporto turistici) che sfrecciavano per le strade. Ero confusa ma piacevolmente colpita dalla mia quiete interiore nonostante il caos circostante, forse erano la leggerezza e la semplicità mostrate dal popolo che cacciavano via ogni tentativo di malessere. A Bangkok trascorsi intere giornate a visitare mercati colorati ricchi di ogni tipo di merce e templi di Buddha avvolti nell'oro ma non era mia intenzione rimanere a lungo in città.
Difatti, presto approdai su un'isola denominata Koh Tao, dall'aspetto esotico e molto invitante. Seppur abbastanza turistica, offre baie meravigliose e un mare dai fondali interessanti.
Mentre dal punto di vista culinario mi colpirono le strutture adibite a ristoranti, semplici ma d'effetto, costantemente all'aperto, con quattro tavoli di legno e con un ventilatore regolarmente acceso.
E proprio lì, mentre gustavo il mio pasto delizioso, mi accorsi di quanto fosse importante la sostanza e non l'apparenza.
Per quanto riguardava le condizioni climatiche definii il meteo altalenante: si passava dal caldo torrido alle repentine piogge torrenziali.
Rammento un tardo pomeriggio quando dal cielo terso improvvisamente sopraggiunse un banco di nuvole indefinite, dall'aspetto tetro, che con molta determinazione scaricò una cospicua quantità d'acqua. Ero sollevata, finalmente avvertivo una sensazione di benessere data dalla tanto attesa frescura. Peccato che le piacevoli piogge durarono uno schiocco di dita e, come se niente fosse, la pelle inumidita e fresca ritornò a sudare. Decisi poi di recarmi in spiaggia ove soltanto le acque dell'oceano potevano ridarmi un po' di sollievo.
Queste giornate rilassanti a oziare tra bagnasciuga e piccole nuotate passarono in un lampo. Successivamente, cambiai costa, feci sosta in una delle baie più remote dell'isola lasciandomi trasportare dal mare cristallino prima che una piccola oasi, denominata Koh Nang Yuan, non catturò la mia attenzione. Una camminata su un lembo di terra fatto di sabbia bianchissima, una nuotata nelle acque limpide e silenziose alla ricerca di pesci tropicali mi fecero sentire rigenerata.
Dopo queste esperienze marittime, la giungla mi aspettava dietro l'angolo. Ero davvero pronta a lasciarmi alle spalle spiagge esotiche ed acque cristalline? Forse no, ma ero preparata ad affrontare la terra abitata da creature poco gradevoli come ragni e serpenti. Arrivò la fatidica sera dell'escursione nella foresta del Khao Sok che sarebbe durata un paio di ore. Prima però presi qualche precauzione per evitare l'attacco delle sanguisughe o delle altre specie dominanti del parco. M'incamminai con la guida, ad ogni passo era una goccia di sudore che appariva sulla fronte non causata del tutto dall'umidità persistente del luogo ma dalla mia angoscia incontrollata. Suoni sinistri si udivano tra le piante giganti di bambù e occhi curiosi brillavano nella notte.
La guida cercò di tranquillizzarmi dicendo che si trattava di insetti e rettili totalmente innocui. Il suo impegno nel mantenermi calma fu costante ma al primo pericolo iniziai a sentirmi nuovamente in ansia. Api indiavolate cominciarono ad attaccare sentendosi minacciate da noi passanti. A quel punto, presa dal panico, corsi agitando le braccia, ma un’ape mi inseguì e in una frazione di secondo mi ritrovai con una puntura sulla mano destra. Dapprima sembrò normale che si gonfiasse, ma poi, giorno dopo giorno, continuò a peggiorare. Ed ecco che mi si presentò un'occasione non prevista: una visita in un ospedale thailandese, precisamente in quello di Surat Thani. Dopo ore di viaggio in pullman, passate fortunatamente con la compagnia di un condizionatore, arrivai nella città di Surat Thani. Prima di dedicarmi alle attività turistiche, era mio dovere andare dal medico. Mi feci una risata ai controlli di routine che si effettuavano prima di ogni visita. Mi pesarono con la borsa a tracolla e mi misurarono l'altezza con le scarpe, il che è un po' bizzarro non vi pare? Ma successivamente tutto andò per il meglio. Il servizio risultò eccellente e senza alcun intoppo. Lasciandomi alle spalle questa breve esperienza ospedaliera, mi gettai nella folla di un mercato gastronomico, il Night Market.
Alla vista appariva vivace, pulito e ordinato, curioso per la qualità e la varietà dei prodotti esposti come spiedini di carne e di pesce, frutta fresca e frutta secca a volontà, fino ad arrivare alle specialità dolciarie a base di latte di cocco. Ma il mio olfatto venne catturato in particolar modo da una bancarella di strepitose frittelle di pesce e verdure. Erano così maledettamente buone che le mangiai come se fossero caramelle. Dopo aver soddisfatto appieno le mie papille gustative tra folklore e tradizione thai, era giunto il momento di tornare verso la grande capitale.
Un volo interno di un’ora per poi rientrare nella confusione di Bangkok.
Disorientata, ritornai a gironzolare nei diversi quartieri, dal più antico al più moderno. La percezione fu quella di essere stata risucchiata da una macchina del tempo che dal passato mi aveva fatto giungere nell'immediato futuro. Una navigazione sul fiume Khao Praya mi permise di realizzare un viaggio nella storia della città degli angeli. Piccoli commercianti abitavano ancora sulle sponde del fiume, nelle tradizionali case su palafitte; al contempo il lussuoso Palazzo Reale manteneva intatti i suoi preziosi templi, simboli di una religione che è tuttora tra le più solide, il Buddismo.
Il viaggio si concluse davanti agli attuali grattacieli e centri commerciali nel cui interno regnava un instancabile caos.
Ritornai quindi alla realtà occidentale, trascorrendo le ultime ore nel continente asiatico dedicandomi agli acquisti di souvenir, prima di recarmi in aeroporto.
Nel preparare i bagagli, promisi a me stessa che quello in Thailandia non sarebbe stato l'ultimo ed unico viaggio compiuto nel territorio del sud est asiatico.
INDONESIA (AMORE A PRIMA VISTA)
Bali mi accolse a braccia aperte, un tassista alla mano e socievole mi accompagnò all'alloggio che si trovava nel bel mezzo della vita notturna dell'isola. Motorini impazziti schizzavano via tra i vicoli affollati mentre neon appariscenti illuminavano tutto il quartiere di Kuta. Diedi subito un'occhiata fuori passeggiando alla ricerca di un ristorante carino per cenare. Circondata da europei e australiani feci molta fatica a dare un giudizio sull'autenticità del posto. Dovevo assolutamente allontanarmi dalla modernità per poter cogliere la vera entità e spiritualità del luogo. Ci riuscii il giorno successivo al tempio induista di Tanah Lot quando, grazie all'aiuto di antiche leggende, la mia mente ideò uno scenario atipico ove le onde assordanti dell'oceano, scagliandosi contro le mura sacre, davano vita a un abbraccio platonico creato volutamente dagli spiriti protettivi delle acque. La celebrazione spirituale si concluse con un tramonto superlativo, caratterizzato da un cielo dipinto da sfumature color magenta.
Commossa, mi allontanai da quell'ambiente ultraterreno, frastornata da ciò che avevo appena assistito. Non sapevo se definirlo un miracolo o semplicemente un regalo di benvenuto, ma non ci pensai a lungo poiché presto avrei voltato pagina.
A poche ore di distanza un piccolo traghetto mi portò alle Gili Islands alla scoperta della barriera corallina. Scartai l'isola più grande aggredita dal turismo di massa e mi dedicai alle due più piccole.
Scesi prima a Gili Air e, a piedi su strada sterrata, raggiunsi il mio dormitorio. A ricevermi fu proprio il padrone di casa che mi diede utili informazioni sull'isola e mi mostrò immediatamente l'alloggio. Il tutto fu accompagnato da uno squisito frullato di frutta esotica che mi fu generosamente offerto.
Spensierata, il mattino dopo mi avviai verso la spiaggia consigliata e trovai il litorale popolato soltanto da qualche chiosco e una decina di pescatori. Munita di pinne e maschera andai in perlustrazione. Attorniata da qualche corallo e pesce curioso, lo snorkeling fu abbastanza regolare sino all'incontro più eccitante del viaggio: un bellissimo esemplare di tartaruga marina che, graziosamente, mangiava tra i miei piedi le alghe circostanti. Decisi di seguirla per osservare il suo comportamento. Ed ecco che la vidi salire in superficie nuotando leggiadra nelle acque trasparenti. Inspiegabilmente il cuore cominciò a battermi più forte, mi ero forse innamorata? Evidentemente sì. Da quel giorno diventò la mia ossessione nonché il mio appuntamento fisso.
Quando mi spostai sull'isola di Gili Meno le abitudini non cambiarono. Lo snorkeling, divenuto il mio hobby preferito, mi regalò un'altra straordinaria visione: un branco di piccoli squali che nuotavano vicini alla riva con indifferenza. Rimasi stupefatta della loro singolare presenza e senza batter ciglio mi allontanai. Bracciata dopo bracciata, arrivai nell'acqua alta ove il blu scuro dell'oceano per un attimo mi fece rabbrividire. Fortunatamente i colori caldi dei coralli sottostanti aiutarono a distogliere lo sguardo dagli abissi e a riportarmi sulla via del ritorno.
Quando il sole calava, priva di ogni tipo di energia, mi dondolavo su confortevoli altalene in riva al mare sorseggiando un delizioso frullato di anguria che, nel mio caso, creò una forte dipendenza.
Purtroppo il sogno di vivere sull'isola che non c'è s'infranse nel giro di sole ventiquattro ore.
Con nostalgia dovetti abbandonare le pianeggianti Gili per approdare su un'isola più collinare, la poco conosciuta Nusa Lembongan. La sua costa offriva scogliere imponenti alternate a piccole insenature sabbiose poco frequentate di una bellezza unica.
L'accoglienza fu subito gradita poiché i gentili proprietari mi informarono subito delle escursioni giornaliere in barca e dei luoghi più interessanti da visitare. Non persi un solo istante e mi prenotai per una fantastica uscita in mare.
Mi capitò un barcaiolo timido che, guidando con molta prudenza, costeggiò la riva per poi fermarsi in un punto ben preciso. Gesticolando, mi fece capire che era arrivato il momento di tuffarsi. Non dubitai e mi buttai in acqua. L'occhio cadde inesorabilmente su una distesa di coralli somiglianti ad un intrico di molteplici corna di cervo che si espandevano per tutto il campo visivo. La luce riflessa dava colori sgargianti ad ognuno di essi facendo risaltare, tra le tante tinte, il viola.
Mi lasciai andare con piccole urla di euforia e continuai a nuotare godendomi lo scenario marino. Risalire in barca significava abbandonare la mia felicità ma, d'altro canto, ero a conoscenza del fatto che poco distante avrei rivalutato il mio stato emotivo.
Il capitano spense nuovamente il motore vicino alla riva di una tranquilla baia. Una donna dall'aspetto radioso mi fece salire a bordo della sua canoa per affrontare il viaggio nella foresta di mangrovie, un ecosistema a me totalmente estraneo.
All'ingresso percepii subito l'assoluto silenzio interrotto soltanto da un leggero suono nato dal canto dei grilli.
Lungo le sponde granchi blu passeggiavano sul terreno fangoso mentre sul corso d'acqua il fitto fogliame si rifletteva tra luci e ombre. Uscita dal tunnel ricco di vegetazione, mi apprestai a raggiungere nuovamente la mia imbarcazione, già pronta a partire.
Durante la navigazione l'ondeggiamento mi cullava e mi costrinse a tornare un po' bambina, nell'età in cui il dondolo mi assopiva. In quel momento, seppur distratta dai ricordi, dovevo concentrarmi sulla prossima sosta. L'adrenalina saliva e con lei anche la voglia di tuffarmi. Eccomi, finalmente in acqua, tra le correnti forti dell'oceano che ti trascinavano senza che te ne accorgessi. Appena abbassato lo sguardo entrai in uno stato di beatitudine, come sedata da ciò che mi apparve: un giardino acquatico sognante. Non stavo nuotando, ma stavo sorvolando un'isola floreale composta da figure piatte e arricciate, oscillanti e statiche, tinteggiate e scolorite.
Avvicinandomi a questo mondo fantasy, cercai di trovare una connessione con la terra. Ci riuscii non appena capii che l'incantevole barriera corallina equivaleva ad un nostro prezioso orto ove migliaia di pesci dipendevano dalla sua conservazione. Tutto ad un tratto, un brivido attraversò il mio corpo, forse era arrivato il momento di uscire dall'acqua o forse era stato un segno della mia incommensurabile consapevolezza alla preoccupante scoperta di quanto sia delicato l'ecosistema marino.
Lasciai le mie riflessioni ben custodite nella “Crystal Bay” per dirigermi verso altre creature degne di avere tutta la mia attenzione: le maestose mante. Nell'intervallo tra una tappa e l'altra le onde si fecero più violente e la costa sempre più scoscesa. Sentivo che mancava poco all'incontro.
Mi preparai psicologicamente viste le condizioni del mare agitato. La barca si fermò, vidi qualcosa muoversi di una certa grandezza appena sotto la superficie dell'acqua.
Intimorita, mi gettai nel mare torbido. Avvenne così il confronto. Tre mante giganti mi si presentarono in tutta la loro grandiosità, la bocca ampia ti lasciava perplesso e la loro forma romboidale ti faceva sorridere poiché le rendeva buffe. Era confortante vederle nuotare nel loro sconfinato habitat senza alcuna paura. Inoltre la loro compagnia mi aveva rasserenata, mi sentivo più al sicuro malgrado l'oceano rabbioso. A malincuore era giunta l'ora di abbandonare queste creature e, con esse, il meraviglioso viaggio nel mondo acquatico.
Mancava ancora da esplorare l'ultima località dell'isola. Andai diretta alle Devil's tears (lacrime del diavolo), delle scogliere che avevano l'aria di essere intriganti e, a quanto pare, sapevano nascondere bene la loro vera identità. Le onde si infrangevano incessantemente e creavano spruzzi altissimi. Vistose piscine naturali si formavano su tutto il tratto costiero. Al tramonto mi misi in prima fila ad assistere allo spettacolo. Divertita, esultavo ad ogni onda, quando all'improvviso, il getto oceanico dall'essere un divertente passatempo divenne un elemento insidioso. Mi ritrovai scaraventata sulla roccia appuntita, non ero più in prima fila bensì alla quinta o sesta. L'oceano mi aveva versato addosso le sue “lacrime del diavolo”. Rimasi scossa poiché in quel momento capii di aver contrastato la sottovalutata “Madre Natura”. Mi alzai e ancora sconvolta andai a riposare con le ginocchia sbucciate e il tremore su tutto il corpo.
Dopo la breve disavventura il viaggio si concluse a Bali dove tutto ebbe inizio, l'inizio della fine nel calcolare il tempo e gli impegni presi di una vita costruita in un mondo di finzione e di opportunismo a cui non volevo più farne parte.
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